Un fiume di parole, di articoli che hanno  letteralmente tappezzato il web in questi giorni, riempito i social networks e il classico tubo catodico: la morte di David Bowie, afflitto da tempo da un male incurabile.

Avevo deciso di tenermi, per cosi dire, asettica sull’argomento: d’altronde cosa aggiungere in più a tutto quello che è già stato detto?

Hanno tutti parlato del Duca Bianco sottolineando la sua personalità poliedrica, il suo essere androgino, gli improbabili gusti sessuali, il passato tormentato dalla dipendenza dalla droga, inquandrandolo come fonte ispiratrice artistica e trainer di stile.

Un unico filo conduttore di elogi e commiati per questa grave perdita… Eppure fino a ieri non mi sembrava ci fosse tutto quest’amore e idolatria per Bowie!

Dai più considerato un massone, esperto di satanismo e simboli esoterici, studioso della cabala, personaggio introverso e controverso: le critiche sono sempre state aspre da parte dei suoi detrattori.

Dagli anni ’80 al 2000 le recensioni degli addetti ai lavori si basavano sul ‘niente di nuovo’ e la solita tiritera.. Alla pubblicazione dell’album ‘The next day’ nel 2013, dopo ben dieci anni di silenzio, la critica annunciò che il cantante, ormai, non aveva più nulla da dire ai suoi fans.

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Mi domando quanto buonismo scorre sull’inchiostro di chi usa la penna per il compiacimento delle masse…
Tutti a scrutare i messaggi subliminiali del suo ultimo album, capolovoro conclusivo di una carriera e di una vita, sciorinando le più alte teorie metaforiche.

Ma è tutto qui?
Indendiamoci: la sua genialità può essere contestualizzata? Io credo di no.

L’essere alternativo e come ha scelto di comunicare al mondo le sue introspezioni hanno dato forma al Bowie demone e divinità allo stesso tempo, concretizzando, forse, quella che voleva essere la sua meta finale…

‘We can be heroes, just for one day’

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