Siamo un gruppo di volontari in questo viaggio, ed oltre a partecipare ad incontri mirati con giornalisti, attivisti, gente comune e studenti, per capire meglio la situazione attuale della vita in Cisgiordania, ci occupiamo anche di aiutare le famiglie palestinesi a raccogliere le olive in questo mese di ottobre, mentre a febbraio affronteremo il delicato compito di piantare nuovi alberi.

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E’ sicuramente un aiuto concreto, in termini di manodopera e fatica nei campi, ma la questione è ben più profonda e radicata.

A causa della divisione dei territori in questo angolo del Medio Oriente e alla progressiva perdita di proprietà terriere, subita dalla popolazione palestinese, la vita è alquanto pesante.

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La cosiddetta linea verde, stabilita dall’ONU, che segna le linee di confine tra Israele e Cisgiordania, non è rispettata, ed ogni giorno la gente viene privata dei suoi campi: dozzine di alberi vengono abbattuti per far posto a nuovi piani di edificazione, senza contare che i pochi appezzamenti rimasti vengono irrigati pochissimo.

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L’acqua è centellinata, poichè le falde acquifere, su territorio palestinese, sono sotto il controllo israeliano, che rifornisce le sue colonie e lascia quasi a secco i cisgiordani: il rifornimento idrico viene erogato un paio di volte al mese, quindi l’unico modo per sopravvivere è ricorrere ai serbatoi, approvvigionarsi autonomamente comprando l’acqua.

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Esiste addirittura un tetto massimo di distribuzione: il governo israeliano stabilisce le soglie, mentre l’autorità palestinese decide quando e dove distribuirla.

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Dopo gli accordi di Oslo nel 1993, un patto provvisorio che in realtà è diventato definitivo, per realizzare un nuovo sistema idrico in Palestina bisogna avere il consenso di Israele, il che diventa una missione impossibile.

La Palestina è un paese occupato, defraudato delle sue risorse e sta scomparendo nell’indifferenza di tutti.

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Oltre al problema idrico e quello non meno rilevante delle terre confiscate assistiamo a soprusi di ogni genere: lanci di pietre, incendi, sdradicamenti delle piante giovani per mano dei coloni israeliani, che vivono qui: danni non solo ai campi ma anche alle singole abitazioni della gente palestinese, di cui nessuno fa parola. La coesistenza è davvero difficile e queste famiglie sono esauste, al limite delle loro forze, fisiche e mentali, private dei beni primari che sono alla base dei diritti umani.

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Ecco perchè siamo qui: in presenza di volontari e attivisti, da ogni parte del mondo, le famiglie, insieme al nostro aiuto, possono raccogliere le olive, senza pensare di doversi guardare continuamente le spalle: in pratica noi fungiamo da deterrenti!

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L’olio che ne ricavano non viene quasi mai venduto, serve per il sostentamento familiare e un campo di piccole dimesioni può coprire il fabbisogno annuo fino al 70% circa, tenendo conto che una pianta di ulivo giovane produce in media circa sedici litri di olio.

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Manteniamo alto l’umore e teniamo viva la speranza, affinchè le cose possano cambiare.

“Olive picking keeps the hope alive!”

Live like an olive tree, giving forgiving and free…

@Blogjuls – West Bank

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