C’è una guerra in Yemen? Nessuno si occupa di ciò che sta succedendo in uno stato non poi così lontano dall’Europa.

Per comprendere il conflitto attuale di questo paese mediorientale occorre analizzarne la storia, scavare alle radici del problema.

Lo Yemen è un paese unificato di recente, nel 1990 per l’esattezza, fondendo lo Stato repubblicano del nord, di stampo arabo, con quello del sud, filo-sovietico.

Un territorio vasto, caratterizzato da un tessuto tribale variegato, alla cui guida c’è sempre stato Ali Abdullah Saleh: uno degli uomini più ricchi al mondo, un leader in grado di creare un sistema ramificato di corruzione all’interno del paese e al contempo di reprimere qualsiasi contestazione attuata dai gruppi etnici minori.

In altri termini lo Yemen è stato sotto dittatura fino al 2011, anno in cui Saleh viene deposto durante la rivolta yemenita. A questo punto sale al potere Abd Rabbih Mansur Hadi, suo braccio destro.

Inizia così un periodo di ricostruzione, attraverso una conferenza di dialogo nazionale: tutti gli esponenti delle tribù e della società civile hanno l’incarico di istituire una nuova costituzione.

L’intero processo termina solo nel gennaio del 2014 ed è volontà comune quella di creare uno Stato federale unito, con all’interno delle regioni semi autonome, ma solo a due condizioni: il disarmo delle tribù e dei partiti e l’esilio del presidente uscente Saleh.

Gli Houthi, un gruppo armato della regione del nord, rifiuta categoricamente l’accordo e l’equilibrio, già alquanto precario, si rompe: questi ultimi appoggiano l’ex capo di stato Saleh, marciano su Sana’a in ottobre e ne assumono il controllo. All’inizio del 2015 inviano un ultimatum al nuovo presidente Hadi, affinchè rinunci alla sua carica.

Hadi scappa e si rifugia a Riyadh, in Arabia Saudita, da cui lo Yemen dipende nella quasi totalità: le importazioni da questo paese sono del 98% in totale.

Il 25 marzo 2015 Hadi, con l’appoggio incondizionato dei sauditi, del Qatar, Emirati Arabi, Marocco, Egitto e Pakistan, entra in guerra contro le tribù ribelli: aeroporti, fabbriche, ponti, scuole e stazioni vengono bombardati senza remore.

In breve tempo i sauditi riprendono possesso di molti territori e dichiarano Aden, città a sud, capitale temporanea dello Yemen, ma non riescono ad avanzare al nord, la roccaforte degli Houthi.

A questo punto il prezzo del petrolio sale vertiginosamente, i cittadini rimangono senza denaro e il sistema produttivo crolla: agricoltori, artigiani e commercianti sono alla fame.

Intanto, nella regione settentrionale chi si oppone al potere viene ucciso, la libertà di stampa non esiste, molti gionalisti sono rinchiusi in prigione, addirittura torturati, e i bambini soldato sono all’ordine del giorno: vengono educati all’odio e alla guerra sin da piccoli.

Manca un punto di unione: troppe correnti tribali, posizioni talvolta opposte o discordanti, senza tralasciare il fatto che Al Qaeda detiene un ruolo di rilievo in buona parte del paese. Anche qui, come in altri stati dilaniati da conflitti, gas e petrolio fanno la differenza e l’organizzazione criminale lo sa bene…

Il territorio a nord è ricco di idrocarburi e petrolio, mentre il sud ha lo sbocco sul golfo di Aden, punto di controllo di tutto il traffico marittimo dall’Oceano Indiano al Canale di Suez.

A livello internazionale è stato proposto un piano di pace, che prevede anche la partecipazione degli sciiti Houthi all’interno di un nuovo governo unito, ma in pratica nulla viene fatto.

La priorità dei sauditi è creare uno stato unitario per tenere sotto controllo un acerrimo nemico, l’Iran, evitando che lo Yemen venga governato attraverso una linea politica filo-iraniana.

Gli Houthi sono sciiti e la loro dottrina in Iran è ampiamente diffusa, al punto da condizionare la vita sociale e politica. Se fossero al governo è chiaro che si creerebbero alleanze scomode alle monarchie arabe e alle potenze occidentali: l’Iran potrebbe detenere l’egemonia commerciale, sul trasferimento delle risorse quali gas e petrolio, dallo stretto di Ormuz a quello di Aden.

Anche l’Egitto ha il suo interesse, quello di monitorare il canale di Suez; per gli altri si tratta di vigilare e dominare un paese la cui posizione geografica è strategica.

La guerra civile ha già causato migliaia di vittime e salgono a circa tre milioni gli sfollati: su questi dati però non v’è certezza, sicuramente la stima è più alta.

L’Arabia Saudita ha investito milioni in questo conflitto ed ha tutta l’intenzione di portare a termine il suo obiettivo: penetrare nella regione del nord e prenderne il comando e se questo implicherà tagliare del tutto l’elettricità o bloccare i viveri poco importa.

In questi giorni è arrivata qualche “tenue” notizia sulla situazione yemenita, ovviamente oscurata dagli accadimenti siriani: attacchi chimici!

Come? Armi di distruzione di massa? Sgomento mondiale! Peccato che siano già state usate e ad ampio raggio anni fa e di ciò ne parlo ampiamente nei miei articoli precedenti sulla Syria: ma solo ora si scatena l’attenzione. Per quale motivo? Forse perchè questa volta sono stati trasmessi video raccappriccianti e ad hoc direi…

Ma senza divagare, anche se qui è sempre la stessa minestra che ci viene servita, anche in Yemen avvengono ogni giorno crimini di guerra e bombardamenti al fosforo: venti attacchi aerei settimana scorsa contro Al Qaeda da parte degli americani e ben due raid in quest’ultima, ancora da “accreditare”, ma che probabilmente sono stati effettuati dalla coalizione saudita, di cui fanno parte anche Francia, Gran Bretagna e USA.

L’Italia resta responsabile del commercio delle armi che vengono utilizzate nel conflitto, non dimentichiamolo.

Circa l’ottanta per cento della popolazione ha bisogno di aiuti di prima necessità, che però non arrivano a causa del blocco aereo da parte dell’Arabia Saudita e quello via mare, “non ufficiale”, imposto dagli Sati Uniti d’America. L’emergenzsa sanitaria si aggrava giorno dopo giorno, anche per i ripetuti attacchi alle strutture sanitarie.

Nel mentre a Riyadh si decide per l’aumento dei salari ai piloti, circa il 60% in più: incoraggiamento? L’anno scorso invece è toccato ai militari, esentati dai tagli effettuati dal governo sulle ferie annuali e sui bonus.

Va da sè che non ci sono commenti ulteriori al riguardo, lascio a voi libera interpretazione.

Gli Houthi la pensano così: “Abbiamo preso Sana’a con la forza, la cederemo con la forza”. A seguire i sauditi: “Hanno preso Sana’a con la forza, ce la riprenderemo con la forza”.

Viviamo di atti di forza…

@Blogjuls

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