Frida è il Messico: la sua vita racconta la cultura messicana nelle sue sfaccettature e visitare la Casa azul è un po’ come ritrovarsi in una storia d’amore, condita da sole e nebbie, tradimenti, magie e credenze…

Siamo a Città del Messico e questa casa museo è l’accesso per entrare nel profondo del vissuto di Frida Kahlo: una donna e il suo coraggio, un cuore che ha lottato attraverso i pennelli e la tela, urlando dolore, raccontando quanto è bella e perfida la vita nel suo destino.

La Casa azul viene acquistata dalla famiglia Kahlo nel 1904 e si trova nel più antico quartiere della capitale messicana: Coyoacán; ai tempi era poco più che un villaggio al di fuori della città, oggi è un “barrio” artistico e bohémien, ricco di gallerie d’arte e musei.

Frida vi nasce tre anni dopo, il 6 luglio; a soli sei anni contrae la poliomielite, che determina la maggior parte dei suoi problemi futuri, tra cui una gamba più corta dell’altra, e all’età di diciotto subisce un terribile incidente stradale, che le causa la frattura di numerose ossa e una lesione alla spina dorsale.

E’ costretta all’immobilità per diverso tempo; i genitori le regalano un letto a baldacchino con uno specchio sul soffitto, in modo da potersi vedere: inizia a sviluppare il suo talento, “Dipingo me stessa, perché passo molto tempo da sola e sono il soggetto che conosco meglio”…

La Casa azul inizialmente era bianca e di dimensioni ridotte rispetto a come la vediamo ora: dopo aver a lungo viaggiato, a contatto con personaggi di spicco dell’alta società del tempo, sposatasi con il muralista Diego Rivera, un amore malato di tradimenti, implacabile eppur così grande, Frida si trasferisce nell’edificio nel 1940, dopo la morte dei genitori.


Si narra che scelga di far dipingere le pareti con il blu perchè magico per le culture precolombiane, usato contro gli spiriti maligni; più probabile che Frida abbia attinto alle immagini del passato tipiche dell’arte popolare delle civiltà messicane, in prevalenza di tonalità azzurre; inoltre l’azul è un colore primario, che rappresenta all’epoca il totale distacco dai canoni accademici e, di conseguenza, la sua idea di modernismo.

La casa azul diventa presto un luogo di ritrovo per artisti e politici, tra cui Breton, Eisenstein, Gershwin, Nelson Rockefeller e Trotsky: un piccolo micro cosmo che pone le basi del cambiamento sociale di quel periodo.

Frida e Diego sono una coppia insolita e passionale: decidono di attuare modifiche strutturali alla casa, in modo da avere ognuno la propria autonomia, senza intaccarne il tipico stile coloniale.

Le camere da letto sono rigorosamente separate, realizzate in pietra vulcanica del Pedregal; il cortile centrale, dove Frida teneva gli animali, dai cani, alle scimmie, ai pappagalli, si arricchisce di una splendida fontana ed una piramide a gradoni, che accoglie collezioni di statuette precolombiane.


L’ingresso è decorato con un mosaico in pietra naturale, opera dell’artista Mardoño Magaña. La sala da pranzo e la cucina sono puramente messicani, colme di ceramiche, e i pavimenti di un giallo brillante.


Nel 1945 viene fatto costruire lo studio di Frida, progettato per offrirle più spazio e mobilità: in questa stanza potete vedere la sua sedia a rotelle, usata negli ultimi anni di vita, dopo l’amputazione della gamba destra, il cavalletto, le polveri dei pigmenti, le spatole e le vernici e ben tre opere incompiute.

C’è una luce particolare, distribuita su tre pareti: sembra quasi di respirare una forza atavica, caratterizzante tutta la vita di Frida, quella di non arrendersi mai.
Un percorso che si snoda attraverso oggetti senza tempo: Diego e Frida amano collezionare reperti archeologici e tradizionali, che si mescolano alla tonnellata di foto d’epoca (suo papà era fotografo) e scritti, lettere e pensieri di una vita intera.
Alcune camere contengono i costumi colorati Tehuana, maschere, idoli e tantissimi “Judas”: mostri di cartapesta appesi al soffitto, che per tradizione si riempiono di petardi e si fanno esplodere nel Sabado de Gloria, il sabato prima di Pasqua.


Le più importanti opere di Frida sono conservate qui, insieme ad altre di artisti notevoli, come Duchamp, Klee, Tanguy e lo stesso Rivera.


“Hanno pensato che fossi una surrealista, ma non lo ero. Non ho mai dipinto sogni. Ho dipinto la mia realtà”.

Corrono anni di lotte culturali e politiche e per Frida anche fisiche: tutto parla di lei in questa casa e del messaggio insito nelle sue opere: un male debilitante, ma la testa sempre alta e sguardo fiero.

Diciassette giorni prima di morire l’artista consegna a Diego una pagina del suo diario: “Se soltanto avessi vicino a me la sua carezza come l’aria accarezza la terra… Mi allontanerebbe dalla sensazione che mi riempie di grigio… Ma come gli spiego il mio enorme bisogno di tenerezza! La mia solitudine di anni. La mia struttura non conforme per disarmonia, per inadeguatezza. Io credo che sia meglio andare, andare e non scappare. Che tutto passi in un momento. Magari”…
Frida muore nel 1954, in seguito ad un edema polmonare: “Spero che l’uscita sia gioiosa e spero di non tornare mai più”.

Quattro anni dopo, grazie all’impegno del marito, la Casa azul diventa un museo, realizzando l’ultimo desiderio di Frida e donato allo Stato del Messico.


“Sono nata con una rivoluzione. Diciamolo. È in quel fuoco che sono nata, pronta all’impeto della rivolta fino al momento di vedere il giorno. Il giorno era cocente. Mi ha infiammato per il resto della mia vita. Da bambina, crepitavo. Da adulta, ero una fiamma”.
Photographic collection Courtesy of Gianluca Costamagna ©