Sono appena rientrata da Kabul e questa notizia dell’attentato in una moschea sciita mi rattrista molto… Altri morti, vittime che si aggiungono ad altre vittime di una guerra senza fine, in cui le vite hanno poco valore, l’essere umano paga per la sua etnia o religione.

Un attacco contro innocenti, una cronaca di una morte annunciata e ripetuta, perchè non è la prima volta che i talebani o l’IS colpiscono le minoranze etniche, ed in questo caso gli sciiti Hazara, etnia afghana stanziata in prevalenza nell’Hazarajat, regione centrale dell’Afghanistan: rappresentano circa il quindici per cento della popolazione e discendono dai mongoli dopo la conquista di Genghiz Khan, ovvero Temujin.

Storicamente divisi in tribù e nemici dei pashtun: si ribellano più volte verso la fine del 1800 e il re Amir Abdul Rahman Khan ne ordina lo sterminio; i pochi sciiti rimasti vengono ridotti in schiavitù.

Gli inizi del Novecento sono segnati da lotte e soprusi; gli Hazara si difendono fino all’arrivo dei talebani: da qui in avanti inizia il calvario.
Un detto talebano recita così: “I tagiki in Tagikistan, gli uzbeki in Uzbekistan e gli Hazara in Goristan”, che significa cimitero.

Sono gli esclusi: sterminati, subiscono persecuzioni, violenze e discriminazioni, considerati degli estranei in un paese a larga prevalenza sunnita; sono quelli che vivono ai piedi del vuoto lasciato dai Buddha di Bamiyan, fatti saltare in aria dai talebani nel 2001. E intendiamoci, ciò è stato fatto per evidenziare la supremazia della loro fede, etnia e cultura, non per disprezzo di una simbologia estranea all’Islam.

I diversi, gli Hazara, con i loro lineamenti asiatici, inferiori, cani infedeli, dotati però di una grande forza d’animo, capace di farli sopravvivere anche alla Jihad.

La caduta delle Twin Towers e la guerra che ne consegue contro i talebani è una promessa di redenzione e salvezza per gli Hazara, che nel 2004 ottengono la parità dei diritti nella costituzione afghana.

Si aprono le porte degli studi universitari per i giovani, molti dei quali si trasferiscono a Kabul: oggi circa il quaranta per cento dei cittadini è Hazara, la classe media sta crescendo, tuttavia la maggioranza è costretta a lavori di manovalanza, a occuparsi di mansioni che nessun altro sarebbe disposto a fare. Il guadagno giornaliero? Arriva al massimo a trecento afghani, neanche quattro euro.

Arriviamo al 2016 e la marcia della luce a Kabul: scesi in piazza per i diritti umani dell’uomo sono massacrati in massa dall’ennesimo attentato.

E poi ieri, venerdì 20 ottobre, giorno di preghiera, moschea affollata e i soliti bombaroli che si fanno saltare in aria.

Molto è stato fatto, l’ho visto con i miei occhi, ma molto c’è ancora da fare: in gioco c’è il destino degli afghani e poco importa ora che siano hazara, pashtun, sunniti o tagiki.

La storia degli Hazara è la storia di un popolo unico, un crogiolo di etnie con profonde cicatrici, che cerca di lottare contro le barbarie di un sedicente esercito talebano, di Is e degli interessi di una comunità internazionale, fra armi, politica e droghe.

Gli aquiloni simbolo di una terra di sangue e rabbia oggi non volano più.

È stata dura andar via da Kabul, più dura per chi resta. @Blogjuls

4 commenti

    • Grazie Mina, lo sono molto. L’Afghanistan e la sua gente mi hanno donato il cuore, rotto e maltrattato, ma ancora carico di speranza in un giorno migliore. A presto 🌺

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