La Catalogna, regione storica della Spagna, è a livello amministrativo una comunità autonoma con quattro province: Barcellona, il capoluogo, Gerona, Lérida e Tarragona.
Abitata già in epoca preistorica, vi si insediano i Fenici, i Greci e poi i Romani. Dominata dai Visigoti, ai quali forse si deve l’origine del suo nome: Gothland, terra dei Goti. Gli Arabi a venire e i Franchi, che la annettono alla famosa Marca di Spagna, la frontiera sud occidentale dell’impero carolingio, che delinea i territori sottratti all’egemonia araba tra il 785 e l’anno 801.
E’ nel 1137 che la Catalogna si unisce all’Aragona e nella seconda metà del 1400 anche la Castiglia viene conglobata in quello che diventa un unico regno. Con la guerra di successione spagnola l’Aragona e la Catalogna perdono terreno in favore della Castiglia, che accentra la maggior parte del potere.
Antico il dissidio tra catalani e castigliani.. La Catalogna acquista e perde autonomia in un ciclo continuo, fino alla salita al potere di Francisco Franco: dopo tre anni di guerra civile il 1939 segna il periodo più buio della regione, in cui anche parlare catalano è illegale.
Dopo la morte di Franco, la Catalogna vota per la nuova Costituzione e ottiene l’autonomia amministrativa, provvisoria nel 1977 e definitiva nel 1979.
Nel 2006 il Parlamento di Spagna modifica finalmente lo Statuto catalano, riconoscendo alla regione una propria identità, “una nazione” all’interno della Spagna, definita stato plurinazionale, e ufficializzando la lingua catalana.
Passano solo pochi mesi dall’aver ottenuto questa vittoria e il partito popolare, nella figura di Mariano Rajoy, presenta ricorso alla corte costituzionale: il riconoscimento alla Catalogna è una minaccia all’unità del paese.
Dopo quattro anni, nel 2010, le modifiche vengono annullate: la Catalogna non è affatto una nazione e il catalano non può essere una lingua riconosciuta in ambito amministrativo e di comunicazione.
Inizia così un periodo di manifestazioni popolari contro la decisione della corte costituzionale. Nel 2012, esattamente l’undici settembre, il giorno della Diada, che commemora la caduta di Barcellona in mani spagnole nel 1714, dopo ben quattordici mesi di assedio, un milione e mezzo di persone gridano in piazza “Catalunya, nou estad d’Europa”, Catalogna, nuovo stato d’Europa: una folla armata di bandiere catalane, una mobilitazione che scrive la storia per ottenere la sovranità nazionale.
Nella Diada del 2013 i catalani formano una catena umana pro-indipendenza, che attraversa la Catalogna da un confine all’altro, su quasi quattrocento chilometri: l’orgoglio e l’unione di un popolo che non vuole arrendersi.
L’anno dopo due milioni di persone a Barcellona formano una “V” gigante, appello al voto per il referendum del 9 novembre, dichiarato di nuovo illegale dalla corte costituzionale.
Una lotta continua tra il governo di Rajoy e la Catalogna di Mas e dopo di Puigdemont, del movimento indipendentista: negata l’autonomia fiscale per la regione, le manifestazioni popolari non portano i risultati sperati.
Quando Puigdemont annuncia un referendum di autodeterminazione nel giugno 2017, previsto per il primo di ottobre, parte subito il veto del governo spagnolo e la corte costituzionale sospende il decreto sul referendum: la Catalogna però non molla e il suo Parlamento approva la legge di rottura, stabilendo che in caso di vittoria del si alle urne la regione diventerà indipendente.
Anche questa legge viene sospesa e si arriva al giorno delle votazioni: Madrid dispiega le sue forze di polizia, la policia nacional e la guardia civil, le quali intervengono allontanando la stampa, cercano di chiudere i seggi elettorali, molti dei quali improvvisati, sequestrando addirittura le urne e caricando la folla.
Il premier Mariano Rajoy dichiara: “Oggi non c’è stato nessun referendum, ma una messa in scena. La Spagna è una democrazia avanzata e tollerante ma anche ferma e determinata al rispetto dello stato di diritto”.
Hanno votato 2,26 milioni di persone, il 42,3%: il 90% del totale dei voti è stato per il sì, mentre il no ha raggiunto il 7,87%.
Seguono la dichiarazione di indipendenza e la legge di transizione giuridica e di fondazione della Repubblica Catalana, scrutinio a cui hanno partecipato soltanto i partiti indipendentisti con la quasi totalità di voti favorevoli; chiaramente il governo madrileno aggrappandosi allo stato di diritto restaura la legalità con l’articolo 155 della costituzione, con la sospensione dell’autonomia e conseguente commissariamento, che sospende gli alti vertici della Catalogna.
Puigdemont si rifugia in Belgio e si consegna alle autorità belga, dove gli è stato notificato il mandato di arresto di Madrid: delle sue sorti si saprà solo a fine mese.
Questi i fatti semplificati: un’Europa inesistente, che appoggia Madrid, una società lacerata, quasi balcanizzata, un governo che non ha la minima idea di che cosa sia la democrazia, attaccato al 19% del Pil nazionale che gli procura la regione catalana, che agisce contro tutti i principi di diritto umano internazionale.
E il fatto più stupefacente è che nessuno si alza in piedi per protestare, per portare lo stato spagnolo davanti ai tribunali internazionali! Perchè se è un fatto l’articolo 155 della costituzione spagnola è pure un fatto che la sospensione dell’autonomia catalana costituisce una retrogressione nella tutela dei diritti umani, incompatibile con gli articoli 1, 19, 25 e 27 del Patto internazionale sui diritti civili e politici, ICCPR.
Ai sensi degli art.10, n.2, e 96 della Costituzione spagnola, i trattati internazionali costituiscono la legge del territorio e di conseguenza la legge spagnola deve essere interpretata conformemente agli stessi.
La negazione al diritto di esprimersi sulla questione dell’autodeterminazione, confutando la legittimità di un referendum, usando la forza per impedirne l’organizzazione e annullare l’autonomia limitata di un popolo per punizione, costituisce una violazione dell’articolo 1 dell’ICCPR e del Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali.
Il governo spagnolo invoca il principio dell’integrità territoriale, per giustificare l’uso della forza sul dissenso politico e dell’autodeterminazione.
Il principio dell’integrità territoriale non si discute, certo, ma deve essere inteso come in molte delle risoluzioni delle Nazioni Unite, tra cui la 2625 e la 3314: la sua applicazione è per ostacolare minacce straniere o incursioni nell’integrità territoriale degli Stati sovrani.
Tale principio non può essere invocato per abbattere il diritto di tutti i cittadini a esprimersi: il diritto all’autodeterminazione è un diritto dei popoli e non una prerogativa degli Stati per concedere o negare, garantito dall’articolo 1 dei Patti internazionali sui diritti dell’uomo.
“Barcelona ciutat de pau, no té por”, Barcellona è una città di pace, non ha paura, scrive Ada Colau, sindaco, su Twitter. E io dico: il mondo intero dovrebbe prendere esempio, perchè la libertà non è solo un diritto, è soprattutto un dovere.
@Blogjuls
Storie simili a quella della Catalogna verso la Spagna se ne trovano in quasi tutti gli Stati europei. Sembra che tu saresti favorevole all’indipendenza della Valle d’Aosta, del Alto Adige, della Sicilia, delle Fiandre, della Scozia, dei paesi Baschi, etc etc. In tutti questi territori, e anche in altri, basta fare un referendum come quello della Catalogna e poi accettarne la dichiarazione d’indipendenza. E poi? Intorno ci sono la Cina, gli USA, la Russia, e altri grandi paesi. Che fine farà l’Europa, che tutto sommato è una forza necessaria, che fine faranno paesi già piccoli, ulteriormente smembrati? Bisogna invece, secondo me, trovare il modo di rendere più forte, più unita, più democratica, più solidale l’Europa. Bisogna fare in modo che gli stati del nord Europa possano fidarsi di quelli del sud, che non temano più la possibilita dell’azzardo morale. E’ stato purtroppo sprecata tanta opportunità e tanto tempo. Oggi contano poco le ideologie, conta la forza… La Russia si è già presa la Crimea, appena può prenderà parte dell’Ucraina, poi i paesi baltici. Chi si opporrà? La Cina si sta comprando l’Africa, gli USA guardano al Sud America… Ci vuole una Europa forte e armata.
Buongiorno Fabricio, mi scuso del ritardo nel risponderti. Bloccata da una forte influenza…
Parto dalle regioni che tu nomini: le suddette sono a statuto speciale, autome, ma ciò non vuol dire assolutamente che siano distaccate dall’unità politica della Repubblica italiana, una e indivisibile, sulla base dei principi della Costituzione. Detto questo, ritengo che, sì, sia giusto per alcune realtà rivendicare il diritto di autodeterminazione, per lingua, cultura, storicità. Ciò non significa certo una divisione territoriale, così come era contestualizzato nello statuto della Catalogna: una nazione in stato plurinazionale. Ritengo che certe manovre siano effettuate perchè fanno comodo ai governi, e la Catalogna, nello specifico, è molto ricca e si sobbarca di una tassazione maggiore ripetto al resto della Spagna. L’Europa non è forte, non lo è mai stata, ed armarla non porterà a nulla, se non ad uno spreco ulteriore di soldi. La costituzione dell’unione europea ha solo aiutato i paesi più forti economicamente a diventare più forti, quelli deboli sono stati annientati dall’euro, sventrati delle loro peculiarità, mangiati da un debito che non sarebbe mai diventato tale se fossimo rimasti Stati sovrani, con la possibilità di stampare ancora la nostra propria moneta. Infatti, le potenze che nomini tu, tra cui gli Stati Uniti e la Cina, restano stati sovrani, con la loro moneta, in grado di sopperire sempre e comunque al loro debito. Ma non vorrei andare fuori tema… Anche se poi tutto ciò in sostanza è collegato. Gli stati baltici sono a terra, devastati proprio dall’entrata in comunità europea: tutto è cambiato e non in positivo! Tu dici che conta la forza e non le ideologie: io credo che conti la forza si, ma quella del popolo, che deve aprire gli occhi e lottare per i suoi diritti; si parla troppo spesso di democrazia, ma io qui non ne vedo proprio nella bella Europa. Tutto si muove in base ad interessi politici ed economici, ad accordi presi non certo per venire incontro alla povera gente o a chi spera ancora in un futuro adeguato per i propri figli. E’ un po’ come gridare: attenti al lupo!, l’America, la Cina, la Russia, quando il lupo ce l’abbiamo in seno, perchè questa Europa ha perso credibilità, è scesa a compromessi senza tenere conto dell’unicità di ogni paese e dei suoi bisogni primari.
Se fossimo rimasti con la nostra liretta, con le sue svalutazioni continue, oggi saremmo messi peggio del Burundi, con tutto rispetto per il Burundi. Con il valore che avrebbe al giorno d’oggi la lira, non potremo nemmeno bere un caffè in Slovenia. Siamo uno Stato dove mancano annualmente un sacco di miliardi di tasse ma in cui l’evasione, sia piccola o grande, è accettata come normalità; dove la corruzione, al nord come al sud, si mangia buona parte della competitività delle nostre ormai poche aziende di proprietà italiana.. Se ci fosse ancora la lira, non ci sarebbe più alcuna azienda italiana, sarebbero state tutte acquistate da altre nazioni. La classe politica che oggi abbiamo è nata dalle scelte fatte dal popolo sovrano, bastava annunciare di togliere l’ICI e tutti a votare Berlusconi, che in vent’anni ha distrutto l’etica, l’educazione e la cultura del popolo, oltre alla economia. L’euro ha permesso moltissimi anni di bassissimi tassi d’interesse, ma non ne abbiamo approfittato per diminuire il nostro debito pubblico, che ogni anno si mangia una parte rilevante delle tasse che vengono pagate, e che quindi non possono essere usate per sanità, scuola e investimenti in generale per le infrastrutture. Il problema che ha la Germania con l’Italia è lo stesso che ha la Lombardia con la Sicillia…sarebbe anche disposta a dare soldi, ma sa che saranno per la maggior parte sprecati malamente.
La direzione della storia è, da sempre, rivolta alla unione dei popoli, agli imperi (persiano, cinese, romano, turco, austroungarico, francese, Reich, americano, britannico, etc etc) che hanno sempre dominato, non alla frammentazione. Tanto meno al giorno d’oggi. Non è attuale creare nuovi Stati indipendenti, come ha proclamato la Catalogna, al massimo si può trattare per una autonomia allargata. Gli Stati Uniti hanno dovuto e voluto mantenere la loro unità attraverso una guerra civile devastante, così come la Cina. Spero proprio che non ci caccino dall’Unione Europea e dall’euro, non tanto per me, ma per il mio nipotino di 9 anni.
I peccati dell’Italia e degli italiani sono davanti agli occhi di tutti… Ma ciò non toglie che, secondo me, pur rispettando il tuo punto di vista, la nostra “liretta” oggi avrebbe potuto fare molto di più di quest’euro che invece ci ha ridotti alla miseria. Lo dimostra il fatto che ai tempi proprio la Germania spinse per la nostra entrata in Europa, anche se non avevamo tutti i requisiti, e sai perchè? Perchè prima di entrare nella comunità europea la manifattura italiana era al secondo posto in Europa e al quinto in tutto il mondo!!! La lira era competitiva eccome! La manifattura ora con l’euro???? E lo dimostra anche la Gan Bretagna, che mai ha accettato di rinunciare alla sua sterlina e che furbescamente si è tirata fuori da quest’Europa. Tu parli di bassi tassi di interesse per venire incontro all’Italia, ma ti ricordo che il nostro cambio lira/euro è stato molto penalizzante. Inoltre per anni siamo stati nel mirino della speculazione, vedi i nostri titoli pubblici. Dal 2015 paghiamo il conto delle perdite bancarie altrui e siamo tenuti a rispettare il fiscal act: per circa vent’anni tagli sulla spesa pubblica, per un totale di circa cinquanta miliardi di euro annui. Le politiche comunitarie hanno messo le banche e la finanza davanti a tutto, davanti ai cittadini: Merkel e Schultz padroni assoluti e l’esecutivo in mano a Juncker, per anni primo ministro del Lussemburgo, ai primi posti per evasione fiscale. Dove sono le tutele dei cittadini, delle eccellenze, del made-in? Quest’Europa dovrebbe essere una comunità, non un’unione di banche e lobby… L’unione dei popoli è nella storia, sì, come alleanza e sostegno, ma occorre anche focalizzare che gli interessi di pochi non sono quelli di tutti. Scrivi: “non è attuale creare nuovi Stati indipendenti”… Più che non essere attuale direi che dà fastidio a chi cerca di controllare e di usufruire delle risorse finanziarie altrui, perchè la Catalogna serve alla Spagna e non di certo per un ideale di unità, che per altro potrebbe comunque esserci.
Davvero non so che cosa augurare al tuo nipotino, spero solo da qui alla sua età matura qualcosa cambi, qualcosa maturi nelle coscienze e agli alti vertici…
Non ci metteremo mai d’accordo su questo argomento. Io ho sempre pensato e sostenuto che se in Italia tutti pagassero le tasse dovute, le tasse stesse sarebbero assai più basse e in ogni caso ci sarebbero soldi abbastanza per avere un sistema sociale avanzatissimo. Gli italiani hanno uno spirito imprenditoriale eccezionale e operai di alto livello. Infatti ancor oggi siamo un forte paese esportatore, solo che abbiamo deciso di competere sul prezzo e non più sulla qualità, abbiamo cercato di competere con la Cina e non con la Germania, e naturalmente saremo totalmente battuti. Stiamo disperdendo velocemente la nostra innata sensibiltà culturale, in cui ha sempre abitato il senso della bellezza, che i nostri giovani ormai non riconoscono più e stanno scendendo al livello culturale dei contadini del South Dakota. Probabilmente si creerà una Europa a due velocità e l’Italia sarà in quella di serie B. E da lì non uscirà più. Dicendo tutto questo posso solo sperare di avere torto marcio. Tu sei giovane e potrai verificarlo fra 15 anni, io no. In quel momento, pensa un attimo a questa mia riflessione: spero che tu possa dire: visto, Fabricio, che avevi torto! Ciao,Giulia, buona serata.
Hai ragione… Su questo argomento non ci troviamo, ma io spero tra 15 anni di essere seduta ad un tavolino, prendendo un caffè con una persona piena e diretta quale sei tu, disquisendo sull’Europa e su questa scommessa che è il mondo e ci diremo solo: siamo ancora qui, torto o ragione, nel bene e nel male…