Vincent Van Gogh è annoverato fra gli artisti più famosi di tutti i tempi, nonostante la sua breve e sfortunata vita: nasce in un villaggio olandese, Groot-Zundert, il trenta marzo del 1853; all’età di ventisette anni realizza il suo primo dipinto e un decennio dopo muore, tra l’oscurità della depressione e malattia mentale.

La famiglia Van Gogh è benestante e profondamente religiosa: Vincent dopo gli studi inizia la sua carriera lavorativa presso la galleria d’arte Goupil e Cie, in un primo momento a L’Aia e successivamente presso la sede di Londra. Apparentemente questo sembra essere un momento felice della sua esistenza: si impegna, guadagna molto e s’innamora…

Le pene d’amore, però, lo portano ad isolarsi, a trascurare il lavoro in favore di una lettura profonda e mistica della Bibbia: trasferitosi a Parigi i contrasti con i suoi datori di lavoro aumentano.

E’ in lui forte la consapevolezza che l’arte in sè non può e non deve essere merce in vendita: questa filosofia di pensiero diventa causa del suo licenziamento nel 1876.

Decide di studiare teologia e svolge persino un periodo di apostolato presso i minatori del Borinage, in Belgio. Dire che vive in ristrettezze è poco, le sue condizioni psicofisiche sono precarie, ma non si esime dall’aiutare il prossimo: quasi come un francescano si spoglia del suo nulla, predica e aiuta i malati fino a rasentare il fanatismo religioso.

Il 1881 è l’anno decisivo: appassionato di disegno dall’infanzia si dedica totalmente alla pittura senza alcuna formazione accademica: una produzione incessante di opere, che ha dell’incredibile.

I mangiatori di patate – 1885

Il primo periodo si caratterizza con quadri dai toni scuri e molto uniformi, come si può vedere in “I mangiatori di patate” datato 1885.

I contadini ed i paesaggi sono i suoi modelli, spesso anche se stesso: è troppo povero per potersi permettere delle modelle.

Il vigneto rosso – 1888
L’uliveto – 1889

Nel 1886 arriva a Parigi, incontra l’arte giapponese e quella impressionista e il suo stile cambia, la pittura si schiarisce, i colori usati sono puri e diventano il mezzo per rappresentare un’espressione nella sua immediatezza. Nessuno però fa caso a lui: all’epoca lo chiamano “imbrattatele”, ma a Vincent non importa: continua a dipingere fino a quando riesce a conoscere ed entrare nella cerchia di Louis Anquetin, Émile Bernard e Toulouse-Lautrec, tutti contro i tradizionalismi artistici.

Mandorlo in fiore – 1890

Intensa l’amicizia con Paul Signac e Gauguin, con il quale trascorre un periodo in Provenza: i due passano alla storia a causa di un litigio che termina con l’autoamputazione del lobo dell’orecchio di Vincent, colto da raptus nel dicembre del 1888. Lo stesso Van Gogh immortala l’accaduto nel suo “Autoritratto con orecchio fasciato”.

Autoritratto con l’orecchio fasciato – 1889

Vincent soffre di epilessia del lobo temporale, una malattia neurologica cronica, che gli causa crisi ricorrenti: decide di sua spontanea volontà di ricoverarsi nel manicomio di Saint-Rémy poco dopo, pur continuando a dipingere e vivendo stati di tensione e allucinazioni.

Prima serie di girasoli – 1887

Sono tutti di questo periodo i ritratti dell’Arlésienne, La sedia di Vincent del 1888, La camera di Vincent ad Arles, Il caffè di notte, Terrazza del caffè la sera e la serie dei Girasoli, il dott. Gachet…

Quattro girasoli – Prima serie – 1887
La sedia di Vincent – 1888

Ma il dipinto su cui voglio soffermarmi è Notte stellata del 1889: il quadro raffigura la vista dalla finestra della sua stanza di manicomio, il Saint Paul de Mausole, a saint Rémy de Provence.

Questa tela rappresenta visivamente la turbolenza, un principio della fisica molto complesso e ancora irrisolto.

Notte stellata – 1889

La capacità del nostro cervello è di riconoscere dei modelli e descriverli: tra questi il più difficile da comprendere è il concetto di flusso turbolento nella dinamica dei fluidi.

In Notte stellata le pennellate circolari creano un cielo notturno pieno di vortici di nubi e mulinelli stellari. Vincent, come gli impressionisti, rappresenta la luce in modo diverso, ne cattura il movimento: osservate quella delle sue stelle, che scintilla e si scioglie attraverso onde lattiginose del cielo blu notturno.

Quest’effetto è causato dalla luminanza, ossia l’intensità della luce nei colori sulla tela.

Dettaglio Notte stellata – 1889

La parte primaria della nostra corteccia visiva vede i contrasti della luce e non il colore, però mescola due aree di coloriture diverse se hanno la stessa luminanza. Siccome la suddivisione cerebrale primaria capta i colori in contrasto senza mescolarli, il pittore marca rapide pennellate, per cercare di catturare qualcosa di reale sul modo di muoversi della luce.

Campo di papaveri – 1890

Il matematico russo Andrey Kolmogorov è l’unico che ha provato ad arrivare alla comprensione matematica della turbolenza, cercando di spiegare il modo in cui funzionano i flussi turbolenti, sebbene una descrizione completa delle turbolenze rimanga una delle questioni irrisolte della fisica.

Un fluido turbolento è sempre simile a se stesso se c’è una cascata di energia: quindi i mulinelli trasferiscono energia a quelli più piccoli, che fanno lo stesso in scala, come la macchia rossa di Giove, la formazione delle nubi e le particelle di polvere interstellare.

La meridiana – 1890

Nel 2004, grazie al telescopio Hubble, alcuni scienziati osservano i mulinelli di una nube di polvere e gas intorno ad una stella ed è immediata l’associazione con la Notte stellata di Van Gogh!

Un gruppo di esperti studia la luminanza nei dipinti di Vincent e scopre che c’è un preciso modello di strutture fluide turbolente, simile all’equazione di Kolmogorov, nascosto in molti suoi dipinti: digitalizzando i quadri salta all’occhio che la luminosità varia ogni due pixel. Si arriva a concludere, tramite uno schema di misurazione-separazione dei pixel, che i dipinti di Van Gogh, risalenti al periodo psicotico, si comportano in modo straordinariamente simile alla turbolenza fluida.

Mademoiselle Gachet dans le son jardin à Auvers sur Oise – 1890

Ad esempio, “L’autoritratto con pipa”, realizzato in un periodo tranquillo della sua vita, non ha mostrato alcuna corrispondenza e neppure altre opere di artisti che a prima vista sembrano ugualmente turbolente: L’urlo di Munch, per citarne una famosa.

Chaumes de Cordeville à Auvers sur Oise – 1890

Ciò che colpisce è la capacità di Van Gogh di rappresentare uno dei concetti più astrusi che la natura abbia mai offerto all’uomo: nel momento di più grande sofferenza ha percepito la bellezza nel mistero dei movimenti, della fluidità della luce, come se avesse toccato l’universo trasportandolo sulla tela.

Dimesso dal manicomio ha una grave ricaduta e si spara al petto in uno dei suoi amati campi di grano: muore due giorni dopo, il 29 luglio del 1890.

Campo di grano con corvi – 1890

La violenza del colore, la deformazione dell’immagine, la drammatica espressione tra spiritualità e realtà, il senso di prospettiva soggettiva, tipici della sua opera, conducono ad una nuova arte, rivoluzionaria e sorprendente.

Le sue ultime parole: “La tristesse durera toujours”, la tristezza durerà per sempre…

N.d.R. – L’ipotesi del suicidio resta quella più accreditata, rispetto a quella che qualcuno gli abbia sparato.

4 commenti

  1. Non male come biografia, tuttavia presenta Vincent come tutti i comuni mortali, sfortunato, folle, suicida, ecc..
    Credi veramente che un’uomo con queste credenziali possa aver avuto la capacità di trasformare l’arte mondiale, aprendo nuove strade e nuovi orizzonti artistici? Bisogna sfatare il mito che vuole i grandi dell’arte vittime di ogni natura. C’è un momento in cui la vita compie uno scarto e muta, qualcosa ti arriva addosso e tutto cambia. In questi momenti i grandi riescono a raccontare se stessi, il mio amico Vincent ha carpito l’attimo e lo ha tradotto da grande interprete.
    Se ti piace puoi importare il mio commento ……di Google. Ciao

    • Buonasera Marcoaurelio.
      Innazitutto grazie per il tuo commento su G+, che trovo interessante e sul quale possiamo discutere… Lo importo appena possibile.
      Per quanto riguarda la biografia di Vincent vorrei fare delle precisazioni: era un uomo? Sì! Comune mortale? Sì! Ed anche folle e suicida… Attenersi ai fatti non significa sminuire la sua capacità di aver trasformato l’arte del periodo e aver aperto le porte verso nuove direzioni di espressione. Anch’io non credo che i grandi artisti siano vittime della natura, semplicemente la loro sensibilità è acuta, estrema e sinergica con l’universo, al punto tale da riuscire a carpirne la vera essenza, a volte il mistero. Ma l’essere umano è appunto “umano” e difficilmente riesce a contenere l’infinito al quale è esposto… L’aver saputo avvicinarsi al principio della fisica di turbolenza lo dimostra.
      Grazie per il confronto.

      “Le idee migliori non vengono dalla ragione, ma da una lucida, visionaria follia”.
      Erasmo da Rotterdam

  2. Di seguito il commento di Marcoaurelio Iacolino, importato dal social G+:
    Notte stellata sul Rodano. Questa fantastica opera di Vincent mette in evidenza la sua conoscenza dell’astrologia e delle stelle. Quando completò l’opera si rese conto che mancava una stella, non visibile nell’occasione. Tornò più volte sul posto e quando la vide completò il capolavoro. L’opera mette in risalto anche il legame tra Vincent e la natura che copre l’intera tela regalando luce e bellezza senza fine. Aggiunge, solo alla fine, due umani piccoli piccoli lasciando comprendere quanta tristezza senza fine è la presenza umana sulla terra. Non parlava di lui! L’uomo è una sorgente di menzogne, incapace di godere in semplicità e onestà l’opportunità a lui concessa di vivere. Da questi pensieri è nata la sua frase.

  3. Buon pomeriggio Marcoaurelio, mi auguro tu possa leggere questo mio commento, che arriva con un po’ di ritardo, in quanto ho eseguito delle ricerche sul quadro in questione, che poco ha a che vedere con il mio articolo, incentrato sul principio di turbolenza, ma chiarisce molto bene i segreti della sua realizzazione.
    Innazitutto Van Gogh non tornò più volte sul posto per dipingere la stella mancante, è un’informazione errata. Secondo gli ultimi studi effettuati dall’astrofisico Gianluca Masi, curatore scientifico del Planetario di Roma, emergono punti salienti sul quadro: “Il cielo è come un orologio ed è possibile risalire alla data in cui le costellazioni si trovavano in una certa posizione in un determinato luogo. Ebbene, si può affermare che il pittore è stato molto preciso e che l’Orsa Maggiore è stata ritratta ad Arles intorno alle 22.30 di un giorno compreso tra il 20 e il 30 settembre 1888. Non è tutto. Nel Grande Carro si può notare una piccola deformazione, come se il maestro l’avesse dipinto in due momenti diversi: ha alzato lo sguardo, ha preso nota della posizione di alcune stelle, ha fatto altro e poi, dopo una quarantina di minuti, ha completato l’opera con le stelle rimanenti, che nel frattempo però si erano un po’ spostate per effetto della rotazione terrestre”.
    Infatti, Van Gogh dipinge rapidamente come si attesta dalla sua biografia ed il cielo deve essere stato ritratto in un arco di tempo ristretto. Alla luce delle nuove analisi la tela viene dipinta in due fasi, intervallate tra loro da una pausa molto breve.
    Spero possa essere di tuo interesse.
    Juls

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