Un luogo di forti contrasti, storia e natura: nella parte centro settentrionale dell’Afghanistan, all’incirca a centocinquanta chilometri da Kabul, si trova la Valle del Panjshir, incastonata tra le montagne dell’Hindu Kush.
Panjshir significa “Cinque Leoni”, i cosiddetti Waliullah o Wali Allah, “amici di Dio”: trattasi di una leggenda locale, che narra di cinque fratelli che vissero nel centro della vallata, i quali costruirono faticosamente una diga per il sultano Mahmoud di Ghazni, intorno all’undicesimo secolo avanti Cristo, le cui fondamenta esistono ancora oggi e sono utilizzate come bacino idrico…
Un itinerario non programmato durante la mia permanenza in Afghanistan, un percorso lungo e non privo di inconvenienti, ma garantisco pieno di spirito d’avventura e di voglia di conoscere e capire realtà diverse.
Partendo da Kabul si attraversano due province, quella di Parwan e Kapisa, oltre a numerosi checkpoint: controllo documenti, domande su domande da parte dei soldati, intermediazione della guida esperta e infinite occhiate scrutatrici, attimi in cui viene deciso il tuo destino, ossia lasciarti passare oppure no.
Ma l’iter non è insolito: sappiate che i controlli sono all’ordine del giorno per evitare attacchi terroristici; il Panjshir è famoso non solo per le sue bellezze naturali, ma soprattutto perchè qui i talebani non sono mai riusciti ad entrare, neppure durante il loro dominio afghano, durato ben cinque anni, dal 1996 al 2001.
Inizia il viaggio tra strade lunghissime, incorniciate da montagne, l’aria è fresca, pungente, e l’inquinamento di una grande città come Kabul è ormai lontano…
Ruscelli di acque limpide che arrivano direttamente dalle alte vette di montagna, le imponenti pendici della catena montuosa dell’Hindu Kush: l’Afghanistan vanta la cima più alta, Noshaq, ben 7492 metri di altezza, nella provincia di Badakhshan.
Mi perdo in numerosi scatti, gioco a fotografare paesaggi che alla fin fine non rendono nell’obiettivo la bellezza che mi circonda. Ciò che colpisce subito è la storia che respiri, attraverso le immagini onnipresenti del comandante Ahmad Shah Massoud, eroe nazionale, leader tagico che ha combattuto contro chiunque abbia provato ad invadere il paese.
Una costante nel paesaggio del Panjshir: Massoud appare sulle pareti delle botteghe, i cartelloni stradali, i muri delle case, con il suo sorriso e gli occhi magnetici, così come li ha ritratti la fotografa iraniana Reza Deghati.
Dovete sapere che la sua guida ha cambiato il destino dell’intera provincia e tale impronta di valore permane, a ragion veduta, nel cuore degli afghani, che lo ricordano con tutti gli onori di un uomo valoroso.
La vallata del Panjshir è stata il centro di resistenza contro il governo centrale afghano filosovietico e le potenze straniere, le quali puntavano ad avere un’egemonia politica in quest’area del paese.
Dopo il colpo di stato del 1978, per mano del Partito Democratico Popolare dell’Afghanistan, ovviamente filosovietico, ai danni del regime repubblicano, Massoud, ottimo stratega, usa il Panjshir come base per tutto il decennio 1979-1989: il periodo dell’invasione russa.
E’ in questa valle che nasce la resistenza, quella dei mujaheddin, contro il governo di Mohammad Najibullah e l’arma sovietica: nonostante le ripetute offensive nemiche la valle resiste; pensate che si documenta che circa il sessanta per cento delle perdite totali russe sia avvenuta proprio qui!
A fronte della ritirata russa Massoud sale al potere, ricoprendo il ruolo di ministro della Difesa di un nuovo governo, grazie all’accordo di Peshawar, firmato dai partiti afghani dopo la caduta del regime comunista. L’intento è di legittimare un Afghanistan unito e pacifico, quasi un’utopia date le continue intrusioni dell’allora Unione Sovietica, che appoggia gruppi di guerriglieri afghani ribelli, insieme al Pakistan.
La situazione prende una brutta piega, soprattutto per la popolazione, nel momento in cui i Taliban iniziano a far sentire la loro influenza con la forza nel 1995: due anni di dura lotta a Kabul, fino a quando Massoud è costretto a ritirarsi in Panjshir, organizzando una resistenza senza eguali con l’Alleanza del Nord, che gli valse il soprannome di “Leone del Panjshir”
Non solo, Massoud rifiuta anche “l’aiuto” delle forze americane, con una difesa vincente, che porta alla sconfitta politica prima ancora che militare del movimento talebano.
“Coincidenza”, il 9 settembre 2001 è vittima di un attacco suicida da parte di due finti giornalisti, che nascondono micro bombe all’interno delle telecamere; solo due giorni dopo avviene l’attacco alle Twin Towers, che sancisce la presa di posizione americana attraverso Enduring Freedom: lascio a voi le conseguenti riflessioni…
Il Panjshir onora il suo caduto, in nome del coraggio e della pace: nel punto più alto della valle si erge il mausoleo di Massoud, una struttura unica, circondata dalle montagne e dai resti di una guerra che non sembra così lontana, solo cambiata…
Non esiste altro posto in cui sentire le cicatrici e le ferite ancora aperte di un popolo, proprio qui, dove invece la pace sembra assoluta, piena, vera.
Un pranzo casereccio, quasi a riva fiume: il tè afghano, gelsi e noci secche, pane fresco e yogurt fatto in casa; a seguire la tipica carne di capra con verdure, riso e frutta; una tovaglia srotolata per terra e momenti di condivisione: nulla di più bello.
Tutta la provincia è stupenda, catteristica, Badakhshan compresa: la gente è amichevole, seppur conservatrice, vive alla vecchia maniera e tra le auto Toyota Corolla (il paese ne è pieno, quasi come la Fiat una volta in Italia) ti capita di vedere transitare gente a cavallo, asinelli e carretti.
La vallata del Panjshir ospita ricchezze naturali che vanno al di là del paesaggio: un centro di estrazione di smeraldi di altissima qualità, simili a quelli colombiani di Muzo. Inoltre il territorio è ricco di risorse minerarie, tra cui l’argento: un altro motivo, oltre a quelli politici, che rendono il Panjshir un obiettivo sensibile per i malvagi locali ed esteri.
Rientro a Kabul, nel traffico cittadino, con il pensiero che la mia immagine scolastica di un paese vibrante di verde e maestose montagne esiste davvero…
@Blogjuls
“Consideriamo parte del nostro dovere difendere l’umanità contro il flagello dell’intolleranza, della violenza e del fanatismo”.
Ahmad Shah Massoud
Appassionato e appassionante articolo, belle fotografie. E’ stato un piacere leggerlo.
Buona notte, Giulia
Grazie Fabricio, ne sono felice. Una buona notte anche a te. A presto 💕
Leggo, con tristezza, questo splendido reseconto del suo viaggio nella valle del Panjshir all’indomani della conquista del paese da parte dei talebani. Spero che un giorno possa ritornare in questo martoriato paese la pace e il rispetto per i propri simili.
Vincenzo Rovito
http://www.enzorov47.blogspot.it
Buongiorno Vincenzo, grazie per la lettura ed il suo sentito commento. Lo spero anch’io vivamente, di tutto cuore. Mi rammarico solo delle informazioni che attualmente vengono fornite alla massa: il paese è meraviglioso, le persone ancor di più. Non esistono solo i Talebani afghani, ma anche pakistani e sono i peggiori… Adesso tutti a puntare il dito sul far qualcosa, e prima? Nessuno se ne è mai interessato veramente, associazioni a parte. Ma come sempre, credendo fermamente nel coraggio di questa gente, lotteranno come leoni
Un caro saluto, Juls
Cercavo dei reportage di viaggio, dopo anni di guerra e di massacri di questo paese quasi dimenticato da,tutti. Bellissimo racconto, mi ha fatto emozionare . Spero che resistano a questa avanzata , ultimo baluardo ….
Un sentito grazie Tatiana!
A presto,
Juls