Scopriamo insieme il pensiero di un uomo attraverso la testimonianza delle sue immagini, che catturano una realtà storica e sociale senza precedenti.
Henri Cartier-Bresson nasce il 22 agosto del 1908 a Chanteloup, Seine-et-Marne, frequenta il liceo nella capitale parigina e nel 1926 inizia a studiare pittura presso lo studio di André Lhote, sviluppando una forte propensione per la corrente del Surrealismo; sono di questo periodo i suoi primi scatti da dilettante.
Nel 1931, al ritorno da un viaggio durato un anno in Costa Rica, guardando una foto di Martin Munkacsi sulla rivista “Arts et Métiers Graphiques”, scopre le ottiche della Leica, dalle quali non si separerà mai, così come dalla passione per la fotografia.
“Sono solo un tipo nervoso e amo la pittura… Per quanto riguarda la fotografia non ci capisco nulla”…
Un anno dopo acquista la sua prima macchina fotografica ed intraprende un viaggio in Europa con gli amici Leonor Fini e Pieyre de Mandiargues: le prime pubblicazioni avvengono sulle riviste “Voilà” e “Photographies”.
Nel 1933 ha già la sua prima esposizione a New York, alla Julien Levy Gallery; le foto vengono presentate successivamente anche all’Ateneo Club di Madrid.
Seguono esperienze in Messico e anche negli Stati Uniti, dove entra in contatto con il mondo del cinema insieme a Paul Strand e il Nykino Group.
Conosce il regista Jean Renoir con il quale collabora come assistente alla regia per i film “La scampagnata” e “La vita è nostra” nel 1936 e “La Règle du jeu” nel 1939.
Nel mentre si avvicinano gli anni della guerra in cui presta servizio con l’unità “Film and Photography” della Terza Armata e dirige documentari di storia.
Il 23 giugno 1940 viene catturato dai tedeschi ai quali riesce a sfuggire solo al suo terzo tentativo nel 1943, unendosi all’organizzazione “Mouvement National des Prisonniers de Guerre et Déportés”, che si occupa di prigionieri e fuggitivi.
Instancabile e sempre con grande impeto realizza nel 1944 una serie di ritratti a personaggi di spicco, quali Pierre Bonnard, Georges Braque, Paul Claudel, Henri Matisse, Pablo Picasso…
Nel 1945 fotografa la liberazione di Parigi: la guerra è finita e parte per l’America su richiesta di Harper’s Bazaar, diventando a tutti gli effetti un fotografo professionista.
La svolta due anni dopo, nel 1947, quando insieme a Robert Capa, George Rodger, David Seymour ‘Chim’ e William Vandivert fonda l’agenzia Magnum Photos.
“Non è la mera fotografia che mi interessa. Quel che voglio è catturare quel minuto, parte della realtà.”
Seguono viaggi in tutto il mondo e una lunga permanenza in Oriente: in Cina nei primi mesi della nascente Repubblica Popolare, in India alla morte di Ghandi, in Indonesia per l’indipendenza…
I suoi scatti fanno letteralmente il giro del mondo: in termini visivi ciò che colpisce è la semplicità dell’espressione, l’immediatezza della sensazione che ne scaturisce.
Nel 1952 rientra in Europa pubblicando il primo libro “Images à la Sauvette”: ne seguono altri, tutti di successo, che segnano la sua collaborazione con l’editore Robert Delpire.
Un uomo e la sua verve, un fotografo e il suo impeto, in anni di intensa attività, viaggi (Cina, Cuba, Giappone, India…) e grandi riconoscimenti: è il primo fotoreporter ad esere ammesso in Unione Sovietica all’inizio della Guerra Fredda; per IBM lavora al progetto “L’Uomo e la Macchina” (1967); su incarico del Reader’s Digest (1968-1969) realizza uno dei più entusiasmanti reportage sulla Francia, da cui nascerà il libro “Vive la France” e la mostra “En France” al Grand Palais nel 1970.
Gli anni Settanta sono caratterizzati da una parziale riduzione della sua attività fotografica per lasciar spazio ai sogni di gioventù, il disegno e la pittura: nel 1975 la prima mostra di disegni alla Carlton Gallery di New York.
La genialità di non voler apportare alcuna modifica ai suoi negativi, nè tantomeno di svilupparli personalmente, mette Henri su un piano totalmente diverso da quello dei suoi antagonisti: le inquadrature non vanno corrette, le foto non devono essere ritoccate, perchè esse rispecchiano un atto, un momento preciso, di un soggetto nella sua unicità.
La qualità di uno scatto risiede nello scatto stesso: l’unica certezza è sceglierlo per la pubblicazione o scartarlo, contro ogni strumento di artefazione o illusione di un’arte moderna, tecnologica e pur primaria.
I suoi ottant’anni sono celebrati istituendo il premio “Henri Cartier-Bresson”, presso il Centre National de la Photographie.
Nel 2000 progetta la creazione di una fondazione omonima insieme alla moglie e figlia, con l’intento di catalogare le sue opere all’interno di uno spazio espositivo che sia aperto anche ad altri artisti: due anni dopo il governo francese riconosce l’ente come di pubblica utilità e nel 2003 si inaugura la sede a Parigi.
Cartier-Bresson viene insignito di un numero straordinario di premi: le sue foto rappresentano la contemporaneità della vita e del suo scorrere, la ricerca di un ordine soggettivo nel contatto con il prossimo, immortalando soggetti che esprimono un contenuto che rompe le abitudini, mostra le diversità…
Muore nel 2004, nella sua casa in Provenza, a Montjustin.
“Fotografare è riconoscere un fatto nello stesso attimo ed in una frazione di secondo e organizzare con rigore le forme percepite visivamente… E’ mettere sulla stessa linea di mira la mente, lo sguardo e il cuore. È un modo di vivere”
N.d.R.
Personale scelta di foto catalogate tra le varie mostre a lui dedicate a cui ho partecipato.
@Blogjuls
La fotografia! Bel articolo, grazie, Giulia
Grazie a te Fabricio! Buona serata ❤️
Grazie!
Grazie a te Franco per la lettura!
Buona giornata 😊