Il Bahrain è un piccolissimo stato del golfo persico, letteralmente il suo nome signifigìca “tra due mari”, unito da un rapporto economico e politico con l’Arabia Saudita, e come tutti i paesi più ricchi nasconde un lato oscuro.

Occupato dai Portoghesi nel 1500 e poi dai Persiani, passa sotto l’egemonia dello sceicco Aḥmad ibn al-Khalifa nel 1784, di origine sunnita: la famiglia è da allora al potere.

Il regno è solo formalmente una monarchia costituzionale, perchè in realtà il Parlamento ed anche la Magistratura non hanno pieni poteri, di fatto stiamo parlando di una monarchia assoluta.

Altro fattore importante è quello religioso: gli al-Khalifa sono sunniti, mentre il settanta per cento circa della popolazione è sciita. La famiglia reale protegge la sua minoranza, isolando l’opposizione sciita, attuando una politica di discriminazione sociale senza eguali.

E’ il 2011 e scoppiano le prime manifestazioni delle Primavere arabe: l’opposizione chiede più libertà e maggiori diritti, a seguito delle rivolte sciite represse con la forza negli anni Novanta, vari boicottaggi e elezioni manipolate all’inizio del secondo millennio.

Dopo poco più di un mese dall’inizio delle proteste, grazie allo Scudo della Penisola, istituito nel 1984, i soldati sauditi sono dispiegati sull’isola e attuano una repressione violenta sulla folla pacifica, che causa morti, feriti e migliaia di arresti.

Questo evento determina la rottura del movimento di opposizione: da un lato gli sciiti democratici che operano per la caduta del regime e dall’altro i sunniti monarchici, che continuano a protestare solo per l’ottenimento di riforme politico-sociali.

Il Bahrain non ha la ricchezza dei vicini sauditi, i suoi giacimenti petroliferi si stanno esaurendo rapidamente, però la sua posizione è di importanza vitale per gli equilibri mediorientali: il casato degli Al Khalifa è sostenuto fortemente da Riyad, non solo per le influenze strategiche, ma anche per una questione di stabilità interna all’Arabia Saudita stessa.

Riyad non è nuova a ribellioni interne ai propri confini e l’intervento in Bahrain è servito come monito: chiunque si voglia opporre al regime subirà conseguenze estreme.

Dopo sei anni di violenze, arresti, torture ed esili, la popolazione è stremata e non ha più le forze per lottare per i propri diritti: nel 2016 l’Alta Corte Civile, su richiesta del governo, conferma l’ordine di dissoluzione del movimento sciita Al Wefaq, che nel 2014 aveva boicottato le elezioni, formalmente accusato di terrorismo; nello stesso anno viene arbitrariamente chiuso anche l’ultimo quotidiano indipendente della nazione.

L’opposizione è sostanzialmente sconfitta e gli sciiti vivono in condizioni di povertà estrema: il governo ha messo ha messo in atto la pena di morte dal 2010 senza sentenze!

Nel gennaio 2017 tre persone subiscono questa fine con processi iniqui e costretti a torture e confessioni forzate: da aprile il re Hamad bin Isa Al Khalifa ha firmato una legge che autorizza i civili ad essere giudicati davanti al tribunale militare e lo scempio prosegue sotto gli occhi indifferenti del mondo…

Il Bahrein continua a negare l’accesso all’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, e allo stesso tempo impedisce agli attivisti di recarsi a Ginevra per il riesame periodico della situazione bahrainita; in sostanza dal paese non esci perchè è stato istituito un “travel ban” e neppure entri: il divieto è esteso anche alle organzzazioni internazionali non governative.

Sono molti coloro che provano a fuggire via mare: in motoscafo occorrono solo quarantacinque minuti per raggiungere il Qatar, ma le acque sono strettamente controllate, anche dai simpatici inglesi con ben cinquecento unità.

La rappresaglia è più che pesante: sparizioni, morti sospette, detenzioni, torture e cittadinanza revocata; sono oltre cinquecento gli apolidi, tra cui molti giornalisti e difensori dei diritti umani.

Un esempio su tutti è il presidente del BCHR, Bahrain Center for Human Rights, Abdulhadi Alkhawaja, che viene arrrestato dopo aver dato lettura ad un simposio sulla situazione nel paese, focalizzando la povertà del popolo e il mal operato del Primo Ministro: l’accusa è di cospirazione e terrorismo. Imprigionato a vita (sottolineo che è anche in possesso di passaporto danese) e la famiglia perseguitata: non ci sono dubbi che sarà il futuro Mandela.

Vi starete chiedendo: perchè tutto questo? Come può una famiglia monarchica arrivare a tanto? In fondo è semplice: preservare la dinastia sunnita e soprattutto gli interessi che gravitano in tutta la zona: di controllo, denaro e supremazia (Yemen e il vicino Iran, a prevalenza sciita).

Inoltre l’Arabia Saudita gioca un ruolo fondamentale nel paese, con un business che primeggia: la prostituzione. I Sauditi vengono qui perchè non ci sono controlli, non sono richiesti neppure i documenti negli hotel e a Manana scorrono fiumi di alcol: si passa dalle prostitute meno care, le cinesi, a quelle più costose, locali o irachene. E la prostituzione è anche maschile, all’ordine del giorno nelle case private e ristoranti famosi.

In secundis il Financial Harbour: saltato il crocevia libanese, Beirut nello specifico, il traffico di denaro sporco si è spostato qui: una marea di soldi che non si vedono neanche a Las Vegas.

Il Bahrain è al secondo posto mondiale per il traffico illecito monetario, dopo la Tunisia.

Alleato degli Stati Uniti rientra fra i paesi arabi che hanno aderito alla coalizione contro lo Stato Islamico: continua a partecipare alle operazioni militari dell’Arabia Saudita nello Yemen. La quinta flotta americana è stanziata qui e Trump ha tolto i limiti precedentemente imposti sulla vendita degli F16: un traffico monetario oltre i quattro miliardi di dollari.

Trump nel marzo 2017: “Non ci sarà alcuna pressione sul Paese con la mia amministrazione.”

Gli al-Khalifa ne gioiscono e continuano la repressione: l’intento primario è di riunire le monarchie arabe contro l’Iran, per fronteggiare il suo peso demografico enorme.

E a nulla serve la richiesta del The Guardian o di Amnesty International per incriminare Nassad, il figlio del re, perché ha fatto torturare dei poveretti; nessuno riesce ad intervenire per porre fine all’assedio di Diraz, la più grande città sciita: posti di blocco che impediscono a chiunque di entrare o uscire.

A conti fatti, e quindi per ciò che trapela, sono più di duemilaeseicento le persone in carcere per motivi politici, in un paese di poco più di un milione di abitanti, non contando gli esiliati e gli apolidi.

Eppure sciiti e sunniti potrebbero e dovrebbero allearsi, perchè entrambe le parti sono danneggiate da questa monarchia assoluta, che accumula ricchezza e potere, che non vengono distribuiti.

Il Vision 2030, programma economico del Bahrain scritto da una società di consulenza americana, non ha fatto altro che aumentare la fasce indigenti, con un piano di grave austerità.

Senza dimenticare i diritti delle donne: le sciite e le sunnite subiscono “equamente” disparità; non esiste nessuna legge che vieti la discriminazione di identità, genere e orientamento sessuale…

Pensiamoci la prossima volta che guarderemo la Formula 1 in Bahrain, comodamente seduti sul nostro divano.

Aveva ragione mia nonna: non è tutto ora quel che luccica e della corona non dovrebbero goderne tutti i re.

@Blogjuls

N.d.R.

Dati raccolti attraverso Human Rights Watch e la testimonianza di A. Fara, giornalista italiana che ha vissuto in Bahrain.

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